Dimore del paesaggio. Visioni erranze e risonanze
Dimore del paesaggio
Sandro Bernardi

OUVERTURE

Di Cola ha un occhio delicato e spietato nello stesso tempo. I suoi paesaggi sono quasi sempre privi di figure umane, come spesso capita di ve- dere in Antonioni. Anche Di Cola, come il maestro ferrarese, ci mostra che il vuoto e la desolazione sono due cose molto differenti, la desolazione è assenza di tutto, mentre il deserto o il vuoto sono abitati, nascondono innumerevoli tracce di vita. Si tratta di vederle, cercarle. Le strade immobili, le case silenziose, i prati, la boscaglia, i fiumi, gli sterpi rosa lungo un fiume, le officine anche abbandonate, gli uffici ferroviari abbandonati, le mucche dallo sguardo tenero che ci mostra la sua fotografia sono piene di vita, come se di lì fosse appena passato qualcuno, un uomo, una donna, una folla, e avesse lasciato la sua impronta, la sua luce, la sua ombra, il suo mistero, appunto (chi è stato qui, dove sarà andato, che cosa avrà fatto?). Perché, se una storia attraversa molti luoghi, è vero anche il reciproco, che un luogo è attraversato da molte storie, e queste fotografie ce lo dicono in modo affascinante.

«[...] Nel 2013 Cesare Di Cola si trasferisce in un piccolo borgo medievale non lontano da Roma, dove intraprende una lenta e paziente riformulazione della sua poetica, rielaborando, tra theōría e mŷthos, percezioni di vita quotidiana e luoghi minimali, memorie e rêveries. Di questa raggiunta maturità di sguardo è testimonianza il volume fotografico Dimore del paesaggio (2017). Dall'approfondimento di quest'ultimo lavoro segue, due anni dopo, una mostra presso l’IIC di Varsavia.» (Eracle d'Osca, 2023)  
Mostra fotografica presso l'Istituto Italiano di Cultura di Varsavia
Pietro De Leo

PREFAZIONE

Riprodurre il cielo e la terra, gli uomini, le donne, piante e animali, è stata fin dai primordi un’esigenza umana che si è manifestata con l’uso delle tecniche e dei materiali più vari, fino a tradursi in forme di espressione originali, coinvolgendo gli artisti di ogni epoca e di qualsiasi scuola. Dalla prima metà del sec. XIX questa attività si è arricchita del mezzo fotografico, progressivamente perfezionato sino ai nostri giorni. La fotografia ha il vantaggio in più di rendere possibile una com- parazione diacronica, consentendoci di osservare l’evoluzione di cose e persone ritratte nel corso degli anni. Cogliere perfettamente lo spirito del luogo è opera d’ingegno, come emerge dall’album “Dimore del Paesaggio” che Cesare Di Cola ci regala nelle sue “visioni erranze risonanze” del territorio nei dintorni di Roma, tuttora ricco di aspetti sorprendenti. Non a caso il volume (dopo la prima foto, che come l’ultima è del padre Giuliano, insostituibile maestro) si apre con le immagini a fronte di un sentiero dell’agro veientano e di un binario della ferrovia Roma- Viterbo, e si chiude con un’altra tratta della medesima linea, ma in direzione opposta, con a fronte una striscia di terra arata in cui spicca un albero d’olivo. Infatti il viaggio è il leitmotiv, e protagonista è il paesaggio, un paesaggio “altro”, non (troppo ovvio) quello turistico/monumentale, ma quello che vediamo ogni giorno, magari dal treno, in un percorso illusoriamente sempre uguale, e invece mutevole, per effetto della luce, che varia secondo le ore del giorno e l’avvicendarsi delle stagioni. Paesaggio osservato e riprodotto con un “distacco empatico”, per quanto possa sembrare un ossimoro. Lungo il percorso attraverso l’agro veientano e la valle del Tevere, reperti di archeologia industriale si saldano a frammenti di drammatica attualità: dall’antica fornace di Monterotondo al Centro di accoglienza (CARA) di Castelnuovo di Porto. Oltre al paesaggio in movimento catturato dal finestrino del treno, prevale l’interesse per il centro storico di Castelnuovo di Porto, con i suoi elementi architettonici di pregevole fattura, retaggio di un passato feudale che si fonde con le attività domestiche e artigianali della vita quotidiana. Rara la figura umana, in secondo piano e quasi casuale, ma il protagonista, il paesaggio, presuppone e testimonia l’opera dell’uomo, che è sempre presente: la terra arata, i manufatti, il falò, le viuzze abbellite con arabeschi di piante in vaso. L’attenzione ai particolari è evidente nelle geometrie create dalla natura, che si confondono fino ad assimilarsi con quelle prodotte dall’uomo: ragnatele, reticolati, grate; le rette parallele nei solchi, nei filari di olivi, nelle cave di Riano, nei binari; gli archi nei ponti, nei portali, nelle stradine. Elementi che coesistono nel dettaglio del monastero di Santa Maria Seconda, dove si intersecano la grata, gli archi del chiostro, le travi del soffitto. In tutte le foto il colore si esprime quasi in maniera autonoma: le infinite forme e sfumature delle foglie, i fiori, le bacche, e la terra, e l’acqua, e poi il tramonto, e la luna. Al termine della sequenza di immagini, il senso del viaggio si rias- sume in un tributo al padre-maestro, e insieme ai luoghi e alle persone da cui Cesare è stato “adottato”, un tessuto naturale e sociale verso il quale è evidente un forte coinvolgimento emotivo.

note
Uscito il volume "Dimore del Paesaggio" di Cesare Di Cola

[...] Dimore del Paesaggio è un racconto per immagini e una ricognizione a volo d’uccello su luoghi di confine, dove si sovrappongono realtà urbana e mondo rurale. Si parte dal centro storico di Castelnuovo di Porto per indagare territori dissonanti, pur gravitando in un’area piuttosto circoscritta: la civiltà contadina dell’Ager Capenas, il parco regionale di Veio, il terrain vague della campagna romana, le cave di Riano, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo. La via Flaminia e la via Tiberina, il Tevere e la linea ferroviaria Roma-Viterbo, sono elementi significativi di continuità con la capitale. Se il paesaggio è la testimonianza della permanenza transeunte dell’uomo, il volume ha per oggetto proprio il rapporto tra natura e cultura. L’intento dell’autore è quello di strappare al mondo porzioni di realtà, per ricomporre l’ordinario e sottrarlo allo sguardo dell’abitudine. Il territorio si fa allusivo e metafora della condizione umana, una casa dai margini incerti e mutevoli.
Pubblicato il 23 agosto 2017 da Carlo Dutto